venerdì 30 novembre 2012

Un po' di vaneggiamenti

Stamattina, per caso, ho raccontato a un amico di quando ho fatto l’autostop su un camion per tornare a Iasi. Sembrava come se gli stessi raccontando un fatto avvenuto secoli fa, un po’ come quando, col mio compagno di banco di liceo, rivanghiamo vecchi episodi di quando eravamo adolescenti che non interessano a nessuno e fanno ridere soltanto noi. Qualche giorno fa discutevo del Tempo con un’amica di erasmus, dicevamo che qui il tempo è come se si dilatasse, fatti avvenuti qualche giorno fa sembrano lontanissimi. E così sono andato a rileggere il post dove racconto della tre giorni di gite che si conclude proprio con l’ormai celebre ritorno in autostop su un camion. L’avevo pubblicato cinque settimane fa…e in queste cinque settimane quante ne sono successe! Rispetto ad allora è cambiato tanto: dei rapporti esistenti “all’epoca” alcuni si sono consolidati tanto, altri sono andati via via sciogliendosi. Ho cambiato idea su molti argomenti, ho cercato di apprendere il più possibile dai racconti che amici e colleghi di tutto il mondo mi hanno fatto dei loro lontani paesi. Ho avuto giornate dove tutto è andato storto, momenti di solitudine o di smarrimento in cui ho avuto nostalgia di casa e degli amici di sempre, ma anche momenti emozionanti e irripetibili che mi hanno confermato che l’Erasmus è stata la scelta più giusta che abbia potuto fare… Almeno fin ora! Qui ogni giorno è una storia a sé. A Foggia per cambiare qualcosa nella mia vita ci vogliono mesi. A Iasi basta un giorno. Ovviamente direte: “E grazie al cazzo! L’Erasmus così è!” Beh, è proprio per questo che ho sfidato le mie paure, in primis quella del’aereo, per venire qui. In un miscuglio di positivo e negativo è stata e sarà un’esperienza ricchissima che non dimenticherò mai.


In foto: il mio primo pranzo nella casa di Iasi. Naturalmente non potevo che cucinare pasta, pesto e tonno! Ma questo non è un semplice piatto di spaghetti. È uno spartiacque nella mia vita.

   


lunedì 19 novembre 2012

Sailing to Chisinau

La poliziotta di frontiera apre lentamente la cerniera della valigia. La ragazza è bianca in volto, la sua coscienza non è pulita, sa che presto potrebbe finire in un gulag. I suoi amici, che hanno già passato il controllo, trattengono il fiato guardandola forse per l’ultima volta. Fuori è buio pesto, si gela, la temperatura è già scesa sotto lo zero, o forse no, ora  non è la temperatura che conta: la poliziotta ha aperto la valigia, lancia una rapida occhiata alla ragazza terrorizzata, sposta dei maglioni e… vabbè questo è già l’epilogo dell’incredibile viaggio a Chisinau, la capitale della Moldavia. Per sapere come andrà a finire e cosa mai sarà nascosto in quella valigia, dobbiamo fare un salto indietro di circa dodici ore, quando io e due amiche partiamo alla volta di Chisinau per visitare la città e prendere un’altra amica che sarebbe atterrata lì.

Dopo soli venti minuti raggiungiamo il confine dove sostiamo per più di quaranta minuti per fare i vari controlli, ma alla fine ho finalmente  il mio primo timbro sul passaporto: Moldova, frontiera di Sculeni!
Dopo aver attraversato paesi non proprio ridenti come Ungheni, Romanovca, Sipoteni e Rassvet, arriviamo finalmente nella capitale. Appena scesi dal maxitaxi andiamo subito a cambiare i nostri Lei Rumeni in Lei Moldavi e io noto con piacere che su tutte le banconote c’è stampata la faccia di Stefan Cel Mare, che qui In Moldavia (sia la nazione, sia la regione della Romania) è amato più di Maradona a Napoli.
Usciti dal cambiavalute ci incamminiamo per strada senza una meta, ma ecco che, dopo nemmeno due minuti, incontriamo una ragazza di Chisinau, studentessa di Medicina, che le mie due amiche avevano conosciuto a un congresso. Gentilmente si offre di farci da guida. Una fortunata coincidenza davvero incredibile! Notiamo subito che Chisinau è una città molto bella, i tanti palazzi antichi dimostrano un passato nobile e ricco di cultura, e il presente è in netta ripresa: ci sono università, teatri, la città è pulita e ordinata. Tenuto conto che fino al 1991 era parte dell’Unione Sovietica, i progressi sono notevoli.
Raggiungiamo un altro studente di Medicina del posto, anche lui aveva già incontrato le mie amiche al famoso congresso, e assistiamo a un flash mob dove gli studenti delle varie università di Chisinau si sfidano a colpi di Gangnam Style! La televisione Moldava, che riprendeva la manifestazione, intervista anche una delle mie amiche che, in perfetto inglese e incitata dal giornalista, esprime il suo plauso per l’evento.
Abbiamo un po’ di tempo per visitare la città, e qui inizia il mio show personale. La mia Foggianità, tenuta a freno per due mesi, prende il sopravvento. Tiro fuori dallo zaino la mia sciarpa del Foggia che mi accompagna da sempre allo stadio Zaccheria, e costringo le due amiche Torinesi a farsi una foto insieme a me, sotto la maestosa statua di Stefan Cel Mare, mentre stringiamo fra le mani la mitica sciarpa rossonera. Una di loro viene immortalata mentre, reggendo un capo della sciarpa, ha una faccia molto molto imbarazzata, un’espressione che dice: “Vorrei che un fulmine mi colpisse in questo momento perché quello che sto facendo non posso sopportarlo un secondo di più.”
Mentre visitiamo la città, in un parco proprio davanti al Parlamento, ci imbattiamo in un simpatico orso con lo sguardo da fattone. Non perdo l’occasione, riprendo la sciarpa del Foggia e mi faccio scattare l’ormai celeberrima foto che troverete alla fine del post.
Dopo aver mangiato (tanto) in un ottimo ristorante, scopriamo che il conto l’aveva già pagato il gentilissimo amico Moldavo. E così, tutti felici e contenti, andiamo alla stazione dei pullman dove la nostra amica, appena atterrata dalla Grande Madre Russia, ci raggiunge all’ultimo secondo in modo rocambolesco. Sembra davvero tutto finito, perfino ci addormentiamo “cullati” dai sobbalzi del pullmino, quando arriviamo alla frontiera. La polizia Moldava ci controlla solo i passaporti. La polizia Rumena invece ci fa scendere tutti (col freddo che faceva) e ci fa portare i bagagli nell’ufficio per un controllo. E qui ci riallacciamo al prologo, in quella notte buia e tempestosa eravamo rimasti col fiato sospeso nel momento in cui la poliziotta sposta dei maglioni e trova niente popò di meno che una stecca di sigarette russe e invita la nostra amica a seguirla. Io già me la immagino in Siberia a spaccare pietre sotto la neve, quando io e le altre due amiche diciamo che quella stecca di sigarette è anche nostra, è collettiva, di tutti, una stecca comunista! Così la poliziotta, con aria benevola, ci lascia andare e possiamo tornare a casa a Iasi. Fa un po’ strano dirlo: tornare a casa a Iasi.

La famosa foto con l’orso e la sciarpa del Foggia:

venerdì 16 novembre 2012

La bomba più dolorosa

Qualche giorno fa, mentre dormivo beatamente in Romania, la mafia ha fatto esplodere una bomba davanti a un negozio di Cinesi a Foggia. Non vi dico lo shock la mattina dopo quando su facebook ho visto la foto del negozio distrutto e dei danni al palazzo. La bomba era davvero molto potente e per fortuna non ha fatto danni peggiori a persone e cose.

Questa bomba è solo l’ultima di una lunga serie di attentati, di omicidi, di rapine e di mille  atti delinquenziali che sono avvenuti nella mia città. Però quest’ultimo episodio ha scosso davvero tanto i Foggiani. È passata una settimana ma ancora ne parlano, la notizia è ancora sulle prime pagine dei giornali. Ma come reagirà la cittadinanza? Il modo migliore sarebbe alzare finalmente la testa, essere uniti e in pace prima con se stessi e poi con gli altri. Far vedere che Foggia non merita l’ultimo posto nella classifica delle città Italiane. E tutto questo partendo da piccoli gesti, dal classico non buttare la carta per terra al non imbrattare il muro della Cattedrale appena restaurata, da parcheggiare in modo più rispettoso a tenere a bada l’istinto di rubare una panchina appena messa in un giardino pubblico. E ciò significa soprattutto rispettare noi stessi. Perché a Foggia ci viviamo noi, è la nostra vita, non ci vivono quelli del Sole 24 ore che fanno la classifica, non ci vivono i parlamentari o l’alto comando della polizia. Se non iniziamo a prendere un po’ di coraggio e a ripartire dalle piccole cose, non arriveremo mai a combattere la mafia che mette le bombe!
Ma il Foggiano, si sa, è pigro e indolente. Si aspetta che il politico che ha votato non si comporti da politico, ma si comporti da mamma apprensiva trovando al bambinone un lavoro poco faticoso ma redditizio, una bella casa e tutti gli altri confort. Bravissimo nel dare sempre la colpa agli altri dei propri fallimenti personali, e come cittadini, bravissimi a dare la colpa a Bari, a Roma, al Nord, senza mai farsi un esame di coscienza e rendersi conto delle proprie responsabilità.
E quindi il Foggiano, dopo quest’ultima bomba, può anche definitivamente tirare i remi in barca e consegnarsi al potere dei più forti e più violenti. Accontentandosi come uno sciacallo di mangiare i pochi brandelli di carne rimasti su una carcassa di un’antilope, ma sempre con la paura e la tensione che il leone possa tornare da un momento all’altro, perdendosi così le cose migliori della vita, e accontentandosi che il Foggia vinca, una volta tanto, una pessima partita di calcio di serie Dilettanti. E questa non è una città viva, è una città che aspetta la morte. E, dopo tanti anni dove niente è cambiato, anzi è solo peggiorato, questa sembra la conclusione certa.
Però voglio lasciare uno spiraglio di luce, una flebile fiammella ancora accesa e spero che si avveri la prima ipotesi, che Foggia si dia da fare per tornare a essere una città vivibile. Ma Foggia sono anche io. E io per primo devo rimboccarmi le maniche e ripartire. Poi sarà il turno degli altri. L’impresa è ardua e non è detto che ce la faremo, però dovremmo cercare almeno di incominciare…
E questo vale davvero per tutti. Del resto, Foggia non è altro che una metafora della vita.


giovedì 1 novembre 2012

Una notte all'opera e la rivolta della lavatrice

Prima storia:

Si dice che durante la notte di Halloween, strani spiriti sinistri animino le cose più spaventose. Una lavatrice che, presa dallo spirito di Halloween, si anima e si mette a camminare, non è tanto spaventosa, ma mi ha fatto comunque bestemmiare per tutta la sera di Halloween, facendomi rendere così il dovuto omaggio a questa festa pagana.
Ero tornato abbastanza stanco e provato da cinque ore fra tirocinio e lezione di Medicina Interna. Però, prima di mangiare, volevo fare gli auguri su skype a un mio caro amico che si era laureato il giorno prima. E qui la brillante idea: mentre parlo col neo-dottore, faccio una bella lavatrice! Una decisione presa d’impeto, d’impulso, che però porterà a nefaste conseguenze, un po’ come quando Napoleone decise di invadere la Russia.
Fin ora la lavatrice aveva lavorato ottimamente ma, evidentemente, ad Halloween, in Romania, le lavatrici prendono vita e, mentre auguro ogni gioia e prosperità al mio amico fresco di laurea, i piedini della lavatrice si allentano e questa inizia a camminare in avanti, posizionandosi proprio dietro la porta. Quando finisco la videochiamata ormai è troppo tardi! La porta si apre solo per un paio di centimetri e non si può spingere indietro la lavatrice perché dietro di lei c’è la vasca. Inizio a sudare, provo prima a spostarla con le dita (la mano intera non riesce a entrare) ma è impossibile. Poi prendo un grosso martello e cerco di spostarla, di fare leva, ma niente. E in quel momento partono le bestemmie che continueranno ininterrotte fino alle nove di sera.  Un amico, chiamato dalla mia, disperata, coinquilina, arriva e, come un dottore nei film polizieschi, non può altro che constatarne il decesso o meglio, in questo caso, l’immane casino.  Dopo aver provato anche lui invano, scendiamo negli empori sotto casa per trovare qualcosa che possa fare al caso. Prima telefono a una mia amica di classe che rimane alquanto sbigottita alla mia domanda diretta: “Ciao, dove posso comprare una buona corda?”. Negli empori non si vendono corde, ma in compenso compro un bel piede di porco, fra la diffidenza della commessa che ci prende per due scassinatori. Però anche col piede di porco la lavatrice si alza di poco e non riesce a muoversi. Sembrava davvero tutto finito.
In serata arriva finalmente il padrone di casa che ha una stazza almeno tre o quattro volte la mia. All’inizio la sua idea era di sfondare il vetro della porta. Prima di questo estremo gesto lo convinco a usare il piede di porco…e in pochi secondi riesce a spostare la lavatrice fra il grande giubilo mio e della coinquilina. Il bagno è di nuovo libero! Exultent Caeli!

Seconda storia:
A Iasi, checché ne dicano le malelingue, c’è anche molta cultura oltre alle mille banche e farmacie e ai semafori col conto alla rovescia (ma di questi ne parlerò prossimamente).
Uno dei fiori all’occhiello della città è il teatro dell’opera, appena ristrutturato. Un mese prima, io e le ormai famose amiche di Torino avevamo preso il biglietto in platea per il Don Giovanni. Dopo tanta attesa finalmente il gran giorno! Nel bellissimo teatro c’era la crème de la crème dell’alta società di Iasi, per dirla alla Mario Merola: “chesta cummitiva accussi allera d'uommene scicche e femmene pittate”.
All’inizio dell’opera tutto il pubblico era attento e composto, però, man mano che la tragica vicenda del Don Giovanni si compiva, un po’ tutti eravamo intorpiditi. Ed è qui che si vede la genialità del regista per ridestare gli assonnati animi. Durante la scena del banchetto ecco apparire sul palco una ballerina in topless con le sue grandi poppe al vento! In quel preciso istante tutto il pubblico si è immediatamente ridestato, mettendo finalmente da parte il comune pensiero: “Ma quando è che finisce?”. E così, terminata l’opera, l’applauso più sincero è stato per questa disinibita ballerina che ha dato un senso alla serata.
Se continua così mi farò l’abbonamento all’opera. Ma no, ma che andate a pensare? Ho sempre amato la lirica e le sue soavi melodie!

E così, dopo queste mirabolanti storie di tette e lavatrici, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima puntata. L’erasmus è anche questo.
Per finire, vi posto un video di una serie del grandissimo Maccio Capatonda dall’eloquente titolo “Lavatrici finite male”. Vi consiglio di vederli tutti.


In foto, il palco del Teatro di Iasi: